Percorso turistico nel cuore della Sicilia solfifera
<<Va’, va’ a rispogliarti,» gli disse zi’ Scarda. «Rimettiti il sacco e la camicia. Oggi per noi il Signore non fa notte.» Ciàula non fiatò. Se non fosse stato per la stanchezza e per il bisogno del sonno, lavorare anche di notte non sarebbe stato niente, perché, laggiú, tanto, era sempre notte lo stesso>>.
Ciaula, caruso di pirandelliana memoria, è uno dei tanti, che per mala sorte, si trova a cavare zolfo nelle viscere della terra, nella calura e al buio, venduto dai genitori con il soccorso morto, in cambio di un centinaio di lire. Uno in meno da sfamare e una boccata buona d’ossigeno per alleviare i crampi della fame. Ciaula aveva più di tret’anni, ma poteva averne anche sette o settanta, perché sarebbe rimasto caruso per sempre se non avesse riscattato dal picconiere il prezzo pagato per le sue spalle, le sue ginocchia.
c’è un ripetersi di personaggi: picunera e capumastri, fochini e armatura, acqualori e spesaluri sempre giù a grattare zolfo; carcarunara e ardituri fuori a fonderlo tra i fumi di un inverno dantesco, dove il paesaggio cambia continuamente volto per l’ammassare continuo dei ginisi, ciò che rimane dallo svuotamento dei calcheroni e dei forni Gill dopo la fusione dell’oro giallo. E poi ancora catasteri e carritteri, i primi ad ammassare le bbalate nei piazzali, i secondi a portarlo alla marina.
“…ci ammazziamo a scavarlo, poi lo trasportiamo giú alle marine, dove tanti vapori inglesi, americani, tedeschi, francesi, perfino greci, stanno pronti con le stive aperte come tante bocche a ingojarselo; ci tirano una bella fischiata, e addio! Che ne faranno, di là, nei loro paesi? Nessuno lo sa; nessuno si cura di saperlo! E la ricchezza nostra, intanto, quella che dovrebbe essere la ricchezza nostra, se ne va via cosí dalle vene delle nostre montagne sventrate, e noi rimaniamo qua, come tanti ciechi, come tanti allocchi, con le ossa rotte dalla fatica e le tasche vuote. Unico guadagno: le nostre campagne bruciate dal fumo”.
Una storia che bisogna ancora raccontare per non dimenticare i tanti personaggi, che come Ciaula, hanno dato la vita.
E “Ciaula scopre la luna” é capace ancora di emozionare, di far sentire davanti l’imbocco di una delle tante discenderie l’ansimare dei carusi su per le scale dal gradino rotto tra i fiochi barlumi delle loro citalene, mentre giù giù, dal buio che si affetta, sembra venire il rumore dei colpi di piccone rabbiosamente sbattuto contro la roccia nuda, mentre l’ombra del barone aleggia per le chiane, sotto il sole cocente, a contare le balate di zolfo da trasformare in conci di sabucina per il suo palazzotto.
Il percorso “Ciaula scopre la luna” inizia a Caltanissetta, tra le teche del laboratorio didattico di mineralogia e paleontologia dell’istituto “Mottura”, dove si racconta, attraverso i minerali, la storia del Mediterraneo, quel mare di Tetide che ha consentito la genesi dello zolfo tra gessi e calcari.
Andando verso la valle dell’Imera si percorre la via dei minatori, segnata ancora da qualche edicola votiva, per raggiungere i castelletti della Gessolungo e della Junco-Tumminelli, ancora svettanti tra campi di ginesi.".
Poco più a valle della miniera Gessolungo s’incontra uno dei luoghi più emozionanti del percorso: il cimitero dei carusi, un fazzoletto di croci bianche alla memoria dei tanti carusi che persero la vita in quei luoghi alle sei del mattino del 12 novembre del 1881 a seguito di uno scoppio di grisou.
Perirono parecchi minatori Dopo 20 giorni dalla sciagura furono recuperati 49 corpi, di cui 19 di carusi tra gli otto e quattrodici anni. Nove di questi rimasero per sempre senza nome. E da un blocco di sabucina esce scolpito un caruso sotto il peso dello stirraturi, la sua fedele gerla carica ancora di pietra intrise di zolfo.
Un’icona a memoria di tutti i carusi delle miniere.
L’emozione si fa più forte davanti le bocche delle discenderie ottocentesche sul fianco occidentale del monte Gabbara, in prossimità dell’abitato di San Cataldo, immerse magicamente tra eucalitti e conifere, dove il silenzio è interrotto dal verso delle poiane o dal battere ritmico del picchio rosso. Qui la storia di carusi e picconieri si fa più affascinante, perché si possono percorre ancora i loro passi in tratti di discenderie e tra brandelli di calcheroni e forni gill. Un patrimonio veramente inestimabile, che va raccontato e vissuto nel rispetto di chi ha sputato zolfo per anni in cerca di pane.
Poi giù per la vallata fino ai margini del territorio sancataldese a visitare una delle batterie di forni gill meglio conservata. E’ la solfara Stincone, tra le più antiche della Sicilia mineraria, risalente ai primi anni del settecento e sul fianco opposto
dell’omonimo torrente si affaccia la coeva solfara Apaforte, dove campeggia tra roveti ed eucalitti l’imbocco di una delle più belle discenderie del bacino solfifero. In questa località, interessante per le sue strutture recettive e per il parco avventura, si trova in ottimo stato di conservazione anche una calcarella, il forno fusore progenitore dei calcheroni, già conosciuto ai tempi dei romani.
Il percorso di “Ciaula scopre la luna” si conclude sul monte Ottavio, alla periferia di Montedoro, sopra la solfara Nadurello, con quello che rimane di una quadriglia di forni gill. Qui si racconta, nel museo “zolfare e zolfatari di Montedoro-civica raccolta di testimonianze etnostoriche”, la storia dello zolfo attraverso tavole sinottiche, pregevoli diorama e alcune pagine della Hemilton Caico.
Sul finire della sera ci si inerpica su fino in cima al monte a scrutare il cielo all’interno del planetario, per poi scoprire la luna con uno dei più grandi telescopi siciliani.
“Estatico, cadde a sedere sul suo carico, davanti alla buca. Eccola, eccola, eccola là, la Luna… C’era la Luna! La Luna! E Ciàula si mise a piangere, senza saperlo, senza volerlo, dal gran conforto, dalla grande dolcezza che sentiva, nell’averla scoperta, là, mentr’ella saliva pel cielo, la Luna, col suo ampio velo di luce, ignara dei monti, dei piani, delle valli che rischiarava, ignara di lui, che pure per lei non aveva piú paura, né si sentiva piú stanco, nella notte ora piena del suo stupore”.
“Ciaula scopre la luna” vuole consegnare al visitatore almeno le storie dei tanti uomini, che hanno contribuito con la loro passione e abnegazione e soprattutto con il loro coraggio a far crescere il paese, anche se sono stati fragili come cristalli di zolfo davanti l’icona di Santa Barbara a chiedere il ritorno all’aria netta.
A travagliari vaiu a la pirrera
A travagliari vaju a la pirrera
unni la morti sempri mi pustija
misa parata usu na grattera
‘n tutti l’agnuni d’ogni galleria.
Matri, matruzza mi nni staju jennu,
si voli Diu, vaju e prestu tornu.
Datimi na vasata vi la rennu
appena spacca l’arba e si fa gghijornu.
Lucinu lucinu li citaleni,
azziddu di morti azziddu mi veni.
Lucinu lucinu ‘npinti a li manu,
azziddu di morti vattinni luntanu.
Na sacchinata china di pinseri,
na burcittata di ‘mmirriju amaru
lu cumpanaggiu di lu picuneri
di ‘giùlia chiamatu surfararu.
……e cantamu!
Lu suli nostru è la citalena
ca fa puru di stidda ‘llu caminu.
Amici su li surci di tucchiera
c’hannu ccu nui comuni lu distinu.
Ssa fedda di panuzzu ca vuscamu
a sangu di sudura è scuttata.
La crusta ca po stari la sarvamu
pi li bisogni stritti di l’annata.
Appena ca chjca la me ura,
mi cogliu li ratteddi e mi nni vaju
la fossa nun la vogliu a bbanna scura:
chissu pi chissu restu unni staju.
Ora addumati la me lumina
l’assutu iu quann’è matina.
E si nun tornu resta addumata
pi Vui Matri Addulurata.
Lucinu lucinu li citaleni,
azziddu di morti azziddu mi veni.
Lucinu lucinu ‘npinti a li manu,
azziddu di morti vattinni luntanu.
Bernardino Giuliana